lunedì 1 settembre 2008

Brecht, questo è teatro!

Giovedì scorso dopo tanta sofferenza mi sono riconciliato con il teatro e mi permetto di raccontare qualcosa de “L’opera del malaffare”, andata in scena al Parco Giovanni Paolo II di Riccione, perché credo possa essere utile a comprendere cosa dovrebbe essere teatro (e, per differenza, cosa non lo è).

Sul palco, diretti da Davide Schinaia, i protagonisti dell’opera in prosa e canzoni tratta da “L’opera del mendicante” di John Gay e “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht e Kurt Weill, hanno regalato alla platea una serata memorabile: dopo tanti spettacoli mediocri (come “La straniera” che ha inaugurato il Meeting, o “Kansas” di Fanny e Alexander, visto a Santarcangelo) che ho ingoiato senza lamentarmi apertamente, non mi è parso vero di riscoprire un testo (quello di Brecht) divertente, intelligente, attuale e attualizzato da Schinaia, e di sentire qualcuno avere il coraggio di parlare di lavoro sommerso, di precariato, di derivati, e per di più non in una spenta aula universitaria o in un noioso convegno, ma a teatro.

La storia di Mackie Messer e del Signor Peachum (gli ottimi Dany Greggio e Alberto Caramel) è nota a tanti – sono criminali che vivono gestendo autentiche squadre di prostitute, accattoni, ladri, lavavetri, sordomuti secondo un’etica che non è diversa da quella che regge l’economia mondiale – ed il lieto fine non è che un regalo che gli stessi attori svelano essere solo una trovata drammaturgica, per allietare il pubblico, in quanto nella vita reale non accade quasi mai. Meckie Messer, davanti al patibolo, viene graziato all’ultimo istante da un’amnistia concessa dal Presidente in visita in città per il Giubileo. Non solo: a Mackie, come segno di benevolenza, nonostante sia e resti un criminale incallito, viene promesso un posto in parlamento ed una villa in Sardegna.

A teatro insomma, come accadeva in Grecia tanti secoli fa, e come dovrebbe sempre essere, la coscienza del pubblico viene risvegliata, a suon di frustate – come quelle che Mackie Messer scaglia contro l’amico Brown, capo della polizia, metafora di una giustizia al servizio del malaffare – e costretta ad interrogarsi sul presente, in una pantomima comunque amara e non consolante. Brecht non ci dice come vivere meglio, ma ci mette davanti ad uno specchio che riflette tutte le nostre contraddizioni, di uomini e di popolo.

Tutto questo grazie ad un cast di attori straordinari che sanno recitare davvero, parlare senza inflessioni regionali, usare la voce (come Francesca Airaudo), modulare le emozioni, cantare, muoversi armoniosamente sul palco senza sbagliare un’entrata o un’uscita. Bellissimo il duetto Dany Greggio/Daniele Marcori, eccellente l’esecuzione del Mirò Saxophones Quartet diretto dal Maestro Filippo Dionigi. In contrasto con una moda dilagante fatta di allestimenti tonitruanti, di effetti speciali, di strapagati attori (spesso presi dalla tv) che recitano in romanesco, ieri sera su un palco disadorno, con pochi e poveri elementi, si è ripetuta la magia del teatro: quanto dovremo attendere per un bis?