giovedì 30 settembre 2010

Francesco Cesarini

L’appuntamento per questa intervista* è stato fissato negli studi di viale Sassonia 22 a Rimini, dove dal primo settembre 2010 ha iniziato a trasmettere Tele1, il polo televisivo di proprietà di Germano Zama che sul territorio è diretto da Francesco Cesarini, riccionese classe 1971, che ci accoglie nel suo ufficio.

Il tuo ingresso ufficiale in televisione è stato da giovanissimo, a Telesanmarino, l’emittente fondata da tuo padre Marzio nel 1989: uno straordinario professionista alla cui scuola hai potuto imparare il mestiere che fai anche oggi. Come hai mosso i primi passi?
Sono praticamente cresciuto nella televisione: nel 1978 mio padre era infatti diventato direttore di Tele Gabbiano; inoltre, era inviato del Corriere Sport Stadio sul territorio: me lo ricordo ancora dettare i pezzi a braccio al telefono subito dopo una partita di calcio. Era incredibile, non sbagliava una parola e mi chiedevo: “Ma come fa? Come fa?”

Uno dei primi campi in cui ti sei cimentato è stato, per l’appunto, quello da calcio…
Il sogno di tutti i bambini. Ho giocato da attaccante militando in varie squadre sino alla serie C in tutta Italia. Prendevo lo sport con grande serietà, ma mi divertivo moltissimo e il calcio mi ha insegnato tanto e regalato belle amicizie.

Nel frattempo hai trovato il tempo per portare avanti gli studi universitari per affacciarti al mondo del giornalismo.
Mi sarebbe piaciuta una carriera universitaria, ma l’attrazione per i media è stata più forte: fin da piccolo ero spesso a rimorchio di Marzio, con cui scrissi a quattro mani i primi articoli, per poi  entrare a Telesanmarino.


Come sono stati gli inizi?Duri. Il mio primo pezzo è andato in onda dopo ben tre mesi, ed ero il figlio del padrone!

Ti ricordi il tuo primo servizio da giornalista?Era dedicato al pre-partita di una sfida di calcio ai mondiali, giocava la Nigeria. Dovevo intervistare alcuni ambulanti extracomunitari, la maggior parte dei quali scappava non appena vedeva la telecamera.

Ti sei mai ‘bloccato’?Al MistFest di Cattolica nel 1994 intervistai Monica Bellucci nell'ambito di una rassegna sui gialli e i misteri.  Le dissi: “Monica Bellucci: un mostro di bellezza a Cattolica”. Non ricordo la risposta. Mi paralizzai: una donna così bella da vicino non l’avevo mai vista.

Qual è una delle tue maggiori soddisfazioni professionali?L'aver accreditato La8 sul territorio in questi anni.

Un episodio che ricordi particolarmente?
Nel 2002 alla Fiera di Rimini c’erano 25 Tv attorno a Michail Gorbacev, intevenuto a “Ricicla”. Io facevo da cameraman, con un’attrezzatura molto datata, a mio padre, che si muoveva fra quella folla di giornalisti con il suo bastone. Al “question time”, tutti alzarono la mano, lui il bastone. E Gorbacev lo indicò. “Marzio Cesarini di Gabbiano Tv” disse, e il presidente si fece spiegare chi eravamo. Tutte le Tv presenti chiesero poi di riascoltare la cassetta.

A 33 anni, per la prematura scomparsa di tuo padre avvenuta nel 2004, sei diventato direttore di La8: come vivi questo lavoro?
In maniera totalizzante. Nei primi periodi stavo in redazione anche 13 ore: era sbagliato, ma forse era un modo per stare vicino a chi non c'era più. Ho avuto la fortuna di impararlo anche da tecnico e ne conosco ogni sfaccettatura. Per questo con i collaboratori sono molto esigente ma lo sono prima di tutto con me stesso. Il segreto è  valorizzare le capacità di chi ti lavora vicino e delegare.

Adesso?
Sono diventato babbo e questo ti fa crescere. Impari a dare il giusto valore al lavoro: capisci che se ti concedi solo ad esso, paradossalmente non rendi. E poi da quadrato diventi tondo: più disponibile e flessibile; in fondo nel mestiere di giornalista la più grande qualità e saper ascoltare. 

Con te in azienda c’è anche la tua compagna Daniela. Com’è lavorare assieme?

Stimolante. Stiamo insieme da quando abbiamo 17 anni: è il mio nemico più intimo – scherza. Con lei è un continuo tentativo di crescere e di imparare l’uno dall’altro, insieme. Senza il suo apporto non avrei potuto fare niente di quello che ho fatto.

Come si svolge una tua giornata di lavoro?
Porto mio figlio all'asilo, leggo i giornali, arrivo in uffico verso le 9.30 controllo la posta elettronica, rileggo i quotidiani per capire se abbiamo preso dei ‘buchi’. Poi coordino i giornalisti che escono per i servizi. Ho la fortuna di lavorare con Simona Cesarini, professionista di grande valore, e Sergio Cingolani duttile ed infaticabile, più tutti i tecnici che mi aiutano nelle altre produzioni. C'è poi l'aspetto commerciale: importantissimo perchè ti da la grande libertà, se ci pensi, di dover “rendere conto”solo alla gente e al pubblico che ti segue.

Da settembre 2010 sei su Tele1 (www.tele1.tv): come si è concretizzato questo progetto e quali saranno i primi passi?
Germano Zama, imprenditore nel settore moda ed editore telvisivo, punta alla qualità del prodotto con un progetto che mi ha conquistato. Ne parlavamo già da un paio di anni e alla vigilia del digitale terrestre ho deciso di lasciare La8, bellissima esperienza, per accettare un nuova sfida: diventare la Tv, di fatto e non di nome, della Romagna.

Qualche anticipazione sul palinsesto?

Innanzitutto un Tg ancora più ricco grazie al supporto dei colleghi di Faenza guidati da Maurizio Marchesi. Riprenderemoil “Venga a prendere un caffè da noi”, “La campanella”con le scuole protagoniste. Poi tanto sport: dalla serie A con il Cesena al calcio Dilettanti fino al basket con l'esclusiva dei Crabs Rimini e Aget Imola più tante altre sorprese.

Dove ti vedi fra 20 anni?
Io in questo momento sono una persona felice, con la consapevolezza che quando si è felici non si è lucidi, perché non è uno stato che dura per sempre. Ma almeno ne sono consapevole. Ecco: tra 20 anni spero di essere almeno vicino allo stato in cui mi trovo in questo momento.

*Intervista pubblicata sul numero di settembre-ottobre di Rimini IN Magazine
**Immagini di Riccardo Gallini

venerdì 24 settembre 2010

Silvano Cardellini, un ricordo personale

Ho conosciuto Silvano Cardellini nel 2004, quando partecipava alle conferenze stampa che organizzavo. Arrivava con passo lento, il berretto calato in testa, gli occhiali a metà del naso. I suoi colleghi, se non lo vedevano, mi chiedevano "Silvano viene?" perchè se c'era lui, allora c'era la notizia. Altrimenti, no. Dopo la conferenza, si fermava a confabulare con gli altri giornalisti, che fra l'ironico e il deferente gli chiedevano il taglio che avrebbe dato all'articolo: anche qui, faceva scuola. Aveva un carattere molto difficile: quando componevi il suo numero di telefono sapevi che avrebbe risposto al massimo con un 'Sì?' e che ti giocavi tutto in pochi secondi. Mi sembrava un po' burbero - forse lo era davvero - e all'inizio avevo soggezione di lui. Talvolta mi sgridava - "Non puoi telefonarmi ogni volta per chiedermi se ho ricevuto il comunicato stampa!" - ma gli passava subito e poi, più disponibile, mi ascoltava. Così c'era voluto poco perchè mi affezionassi a lui e lo elevassi al ruolo - senza che l'abbia mai saputo - di maestro.

Un giorno mi hanno detto che era stato male e mi avevano spiegato anche il perchè: mi addolorai molto, così come fui contentissimo, dopo un periodo piuttosto lungo, di rivederlo avanzare fra le poltroncine dell'ennesima conferenza, salutarmi e prendere posto. Ricordo che una mattina che il Sole 24 Ore Centro Nord pubblicò in anteprima una notizia che avremmo dato quello stesso giorno in conferenza stampa, quando lo chiamai per sapere se sarebbe venuto, mi disse con tono di rimprovero: "La notizia è bruciata, non si fa così! Cosa vengo a fare?". Poi arrivò, mi prese da parte e mi disse, con mia grande sorpresa: "Sono venuto solo per rispetto nei tuoi confronti".

Negli ultimi tempi, quando faceva molta fatica a muoversi e sentiva anche dolore - anche se non lo dava a vedere - lo accompagnai ad una conferenza stampa in macchina: parlammo del più e del meno, ma non della sua malattia, della quale forse non c'era niente da dire, perchè era lì, la potevi vedere, la potevi sentire. A chi non sapeva chi fosse, lo presentavo come "Silvano Cardellini, il grande giornalista del Resto del Carlino", e si stupivano di vederlo piccolo, infagottato, quasi camuffato fra berretto, occhiali e sciarpa. Una sera ero passato a trovarlo in redazione: nonostante il Carlino avesse già chiuso l'edizione di Rimini, sembrava avesse ancora molto lavoro da fare. Si fermò a chiacchierare volentieri un po' con me, poi ricevette una telefonata. Era sua moglie che lo aspettava di sotto: d'un tratto - questa è l'impressione che ne trassi - sembrò scrollarsi di dosso la sua maschera da giornalista, il suo aplomb. Si tirò su tutto sorridente, con gli occhi brillanti. Piantò lì ogni cosa, così com'era, prese il soprabito e scese di gran carriera le scale. Gli tenni dietro, mi salutò appena, volò oltre piazza Cavour e lo persi di vista.

Il giorno del suo funerale in Duomo, quando portarono fuori la bara, uno dei portantini mi chiese se volevo sostenerla. Dissi di no, faticosamente, ma mi pentii subito. No, perchè chi ero io per meritarmi questo onore? Mi dispiacque invece moltissimo, perchè mi era sembrato di avergli negato un ultimo favore. E glielo dovevo, eccome! Ancora ci penso, e vorrei averlo fatto: se potessi gli darei volentieri un colpo di telefono, per spiegargli tutto. Ma che prefisso bisogna fare per chiamare in Paradiso?

lunedì 6 settembre 2010

Mountain Mermaid


Mountain Mermaid
















In America?




















Tabernacolo














Predazzo, Murales















Toilette



















Scappo dalla Città








Fotografie © Cinzia T.