sabato 31 luglio 2010

Cesare Pavese, secondo Ginzburg e me

Ho diverse immagini di Cesare Pavese in mente: lo scrittore è stata quella che si è formata prima, attraverso i suoi romanzi e le sue poesie; poi è stata la volta dell'editore Pavese, quello impegnato a proporre libri, correggere bozze, confluito nella mia tesi di laurea. Poi c'è il Pavese uomo, e qui non ci ho capito granchè. Lo scrittore romantico, attaccato alle gonne delle donne, perennemente innamorato di qualcuno impossibile da raggiungere o troppo effimero perchè durasse si è accompagnato al protagonista dei suoi libri, in fuga dalla guerra sulle sue colline. Ho creduto fermamente che il suicidio fosse stato un 'errore' ma non una posa esistenziale. Poi ho letto Lessico famigliare di Natalia Ginzburg e il quadro si è complicato.

La Ginzburg, che conosceva molto bene l'autore di Prima che il gallo canti, ne parla come di una persona tutta d'un pezzo, professionalmente, attento ed intransigente, quasi scontroso, con tutti quei: "me ne infischio!", "si impicchino!". Sostiene che erano talmente tanti anni che parlava di suicidio che nessuno ci badava più. Racconta che Cesare fosse pervaso da una puntigliosità che lo spingeva ad arrabbiarsi per qualsiasi piccolo cambiamento di programma, che lo deviasse da un percorso stabilito, che fosse un ristorante, che fosse una strada. L'imprevisto lo metteva a disagio.

Eppure era dotato di un'ironia di cui, come dice Natalia Ginzburg, nei suoi libri non c'è traccia; come non ve n'era nei suoi rapporti con le donne. E quest'ironia è ciò che la scrittrice rimpiange di più: "Nell'amore, e anche nello scrivere, si buttava con tale stato d'animo di febbre e calcolo, da non saperne mai ridere, e da non essere mai per intero se stesso: e a volte, quando io ora penso a lui, la sua ironia è la cosa di lui che più ricordo e piango, perchè non esiste più: non ce n'è ombra nei suoi libri, e non è dato ritrovarla altrove che nel baleno di quel suo maligno sorriso".

Ho sempre pensato che occorre partire dal testo, prima che dall'autore. Ma Fernanda Pivano, allieva di Pavese, ha proposto un'altra strada: conoscere l'autore e l'ambiente in cui vive, per comprendere da dove quel testo ha avuto origine. Leggere e non fermarsi alle parole, risalire le pagine del libro per andare oltre l'ultima pagina e incontrare la penna, l'inchiostro, la mano, il braccio, il corpo, il cuore, gli occhi la testa di chi quella storia ha scritto.

Di fronte a tutto questo, mi chiedo oggi, a 19 anni dal mio incontro con lui, chi sia Pavese e chi sia per me. Non ho una risposta, non adesso. Posso solo partire dall'inizio, dalla prima pagina, e ricominciare a leggere.