domenica 1 agosto 2010

Lessico famigliare, che storia!

Ebbene sì questa volta ce l'ho fatta. Era dal 1998 che Lessico famigliare di Natalia Ginzburg sostava nella mia libreria. Me lo sono portato dietro, di casa in casa; talvolta l'ho anche aperto, sfogliato, richiuso accuratamente. Per almeno due volte non ho superato le pagine dei "sempiezzi" e degli "sbrodegazzie e potacci". Cosa avrebbe mai potuto dirmi una storia così personale, così particolarmente e unicamente famigliare, così poco universale?

Come accade sempre con i libri quando si presentano ostici, sono le prime pagine quelle più dure. Ti senti attratto, sai che dovrai trovarci qualche cosa per forza, ma la ricerca si prospetta lunga, faticosa. E abbandoni. Stavolta no. E non c'è stato niente di particolare ad avermi spinto a proseguire, se non il fatto che fosse il momento giusto: ed eccomi qui, 212 pagine dopo, a chiudere il libro della Ginzburg con un brivido.

La storia è semplicissima: è la cronaca della vita della famiglia Levi raccontata da Natalia, nata Levi e poi sposata Ginzburg. Si parte, pertanto, dall'infanzia: ricordi, giochi, vacanze; i genitori; gli amici dei genitori, gente un po' speciale (Casorati, Turati, per dirne un paio) che gira per casa, che si nasconde in casa; uomini e donne che hanno contato nella storia del nostro Paese, nei diversi ambiti di appartenenza. Poi, man mano che Natalia cresce, le vicende della famiglia si complicano, all'orizzonte si profila il fascismo, poi la guerra, i bombardamenti, la fine delle ostilità; la fuga da Torino, l'esilio per qualcuno.

Molte pagine sono dedicate alla nascita della casa editrice Einaudi, a Giulio Einaudi e ai vari Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Italo Balbo. La Ginzburg non scrive mai 'Einaudi' ma semplimente lo chiama "l'editore", così come la casa editrice resterà senza nome per tutto il libro. Ed è qui che il testo si fa veramente interessante, raccontando da vicino l'umanità di questi 'eroi' della letteratura, pionieri e divulgatori di cultura.

Il libro, ad ellisse, si chiude con i genitori di Natalia che discutono, per l'ennesima volta, in quel modo oramai famigliare anche al lettore:

- Tutte le domeniche - disse - andavamo dal Barbison. Le sorelle del Barbison le chiamavano le Beate, perchè erano molto bigotte. Il Barbison, il suo vero nome era Perego. I suoi amici gli avevano fatto questa poesia: 'Bello è veder di sera e di mattina / Del Perego la cà e la cantina.' - Ah non cominciamo adesso col Barbison! - disse mio padre. - Quante volte l'ho sentita contare questa storia!

Ho trovato il libro interessante per diversi motivi. Per il contenuto, specialmente nella parte in cui la storia del nostro Paese si mescola con la storia della famiglia Levi, accompagnando tutto il popolo italiano dai primi anni del secolo alla seconda guerra mondiale sino al boom economico. Per i ritratti che Natalia ha fatto delle persone che hanno incrociato la sua strada: da Pavese a Balbo, dai suoi genitori ai fratelli, al marito Leone, ricordato con scarne ed efficaci righe, ancora intrise del dolore della perdita.

Straordinario lo stile. Nelle prime pagine la Ginzburg, penna in mano, non sta ricordando la sua famiglia (cioè da adulta, gettando uno sguardo indietro nel tempo): ma si fa piccina un'altra volta e narra in diretta quello che vede con i suoi occhi. Non si comporta come un narratore onnisciente, ma come un cameraman impegnato in una presa diretta. Pagina dopo pagina, diventando grande, la Ginzburg inizia a comprendere meglio le dinamiche della propria famiglia, e quelle della storia che si sta svolgendo tutto attorno a lei.

Come lettore mi sono pertanto ritrovato a vivere cinquantanni di storia, raccontati da uno sguardo che, nel tempo, acquisisce sempre più consapevolezza. Un artificio bello e calibrato, come se aprendo le pagine di Lessico famigliare, venissimo presi per mano da bambini e, scorrendo la storia che viene narrata, ci facessimo adolescenti e adulti, divenendo parte integrante anche noi della famiglia Ginzburg, della casa editrice Einaudi, del nostro Paese. Vivendo, quasi sulla nostra pelle, cinquantanni di storia, come un brivido che lascia senza respiro.