domenica 22 novembre 2009

Raymond Carver #1

Una risposta all'articolo pubblicato da Davide Brullo su La Voce di Romagna in data 15.11.2009; il testo che segue è stato pubblicato in data 19.11.2009.

Quando viene pubblicato un articolo di Brullo, sorrido e mi chiedo sempre: “Ma che, fa davèro”? Perché nel modo di Davide di porgere le sue idee al lettore, di spingere sempre un pizzico oltre il crinale del lecito le parole, c’è un che di autocompiacimento e di gusto per il paradosso letterario.

Così, quando mi hanno fatto notare il pezzo molto ingeneroso dedicato a Raymond Carver, uscito domenica scorsa sulla Terza Pagina della Voce di Romagna, mi sono chiesto: “Ma che, fa davéro”? Solo che stavolta, proprio per aver toccato un autore che amo molto – e, convengo coi più, l’amore fa vedere tutto rosa – non posso non prendere anche io la penna e stare al “Brullo’s game” e cercare di prendere per mano il lettore, e lo stesso Davide, per smontare il suo impianto accusatorio mosso contro Carver e l’operazione Einaudi.

Anzitutto è scorretto paragonare Tolstoj e Carver (Brullo, ovviamente, stravede per il primo). Tolstoj – e prendo in prestito le parole di un caro amico che di letteratura ne sa - fu un grandissimo autore di racconti e storie brevi, d'accordo: ma allora quanti ne potremmo citare? Poe era scarso? Hemingway un dilettante? E Borges e Cortazar degli analfabeti? E Maupassant, Cechov, Hawthorne, Melville? E le "centurie" di Manganelli? E le gemme fantascientifiche di Bradbury, di Matheson, di Sturgeon, di Ballard? Fare classifiche in letteratura è un gioco antico quanto il mondo – che non ha inventato Davide – divertente, certo: ma del tutto privo di utilità e di fondamento.

Anche Raymond Carver era un maestro della short story, e qui lascio parlare Fernanda Pivano: “Il suo stile si è rivelato asciutto e muscoloso, influenzato enormemente da Hemingway; e la sua descrizione di un mondo privo di sentimentalismo dove incalzano problemi economici, rapporti personali difficili e disoccupazione, il mondo cioè delle sue esperienze personali fino a rasentare l’autobiografismo, ha segnato tute le caratteristiche del Minimalismo”.

A Davide, che accusa Carver di “non aver mai messo il naso fuori dalla cucina” cosa si può obiettare? Carver riflette il suo tempo, e come tale ne è diventato un cantore universale, con il suo stile scarno, disadorno ma vivido, quasi violento. Per smontare il mito del sogno americano gli è bastato narrare di un frigorifero rotto e del gocciolio dell’acqua “che stava scolando sul linoleum dal bordo del tavolo”, fissando la scena di ‘Conservazione’ sui piedi di un uomo che tornano tragicamente, inevitabilmente, a distendersi sul divano – come se ogni tentativo umano di cambiare la storia, la propria storia personale, fosse impossibile. Oltre alla desolazione, d’altro canto, Carver è capace di regalare lampi di gioia – semplice magari, ma vera – inattesi, improvvisi, come nel finale di ‘Cattedrale’ dove Robert si fa condurre da un cieco e dice “[…]Le sue dita guidavano le mie mentre la mano passava su tutta la carta. Era una sensazione che non avevo mai provato prima in vita mia. […]Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente”.

Ancora Fernanda Pivano, citando Bill Buford, scrive: “A parlare [nei suoi racconti] non è tanto quello che è detto, ma quello che non è detto: i silenzi, le elisioni, le omissioni”, proprio come piaceva tanto a Hemingway. Proprio quell’Hemingway che Brullo nel suo articolo ricorda irriso dallo stesso Carver, che però ne conosce a memoria l’intera opera, rivelando così apertamente, anche se in maniera indiretta, tutto il suo debito.

Infine, gli strali di Brullo si sono scagliati contro l’operazione Einaudi che, a partire dal primo volume a 17 euro, inizia a ripubblicare l’opera omnia di Carver: qui il “Brullo’s game”, cade. È noto infatti che moltissimi racconti di Raymond Carver furono corretti, rimaneggiati, interpolati dal suo amico editor Gordon Lish, che cambiò diversi finali. Einaudi recupera tutti gli originali, uncensored. Ciò pone, tra l'altro, un interessante problema critico – come mi spiega il mio caro amico: il mito di Carver minimalista si fonda infatti in parte su un lavoro non suo, appunto quello del suo editor. Dunque: qual è il vero Carver? Quello che Einaudi recupera adesso, e che il pubblico non conosce né ama (magari lo amerà, ma non lo ama perché gli è ignoto), o quello ibrido generato dalle forbici di Gordon Lish? Cioè l'autore si trova nel suo intendimento, o nella ricezione del pubblico, nella storia della tradizione e circolazione della sua opera?

Ecco perché vale la pena leggere e rileggere, magari confrontare. Anche se il traduttore è lo stesso dei Meridiani. E poi, se il libro costa troppo, si può prendere in prestito in biblioteca. Se no, Davide, ti presto il mio.

(Nella foto, Raymond Carver con la compagna Tess Gallagher)


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