lunedì 27 aprile 2009

Dany Greggio, il Gentleman della musica

Sul cappello texano è appuntata una stella rossa con l’effigie di un irriconoscibile Lenin bambino: Dany Greggio, cantautore e attore nato in Sudafrica da genitori italiani, da anni trapiantato in Romagna, porta in testa con personale eleganza il sogno americano in declino e le false promesse di un comunismo ancora in fasce. Ritratto intervista di Dany Greggio, in occasione della pubblicazione del primo disco.

Incontrare un artista come Dany Greggio significa, fra le altre cose, avere a che fare con un talento riconosciuto della new wave cantautorale italiana ma anche con l’attore ‘feticcio’ di Motus, il gruppo teatrale italiano per il quale Greggio lavora dal 1999, quando fu notato da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, i ‘dioscuri’ di Motus, mentre apriva il concerto dei La Crus al Teatro Novelli di Rimini. Era il 28 dicembre 1998. Esattamente dieci anni dopo, nello stesso teatro, in una serata introdotta dalle performance di amici musicisti come Giuseppe Righini e Daniele Maggioli, Dany Greggio ha presentato, assieme ai suoi “Gentlemen”, il recente debutto discografico, l’omonimo album con 14 tracce inedite e due monologhi. Un lavoro dove si respira la complessità ma anche la sincerità di Greggio, capace di esprimersi su registri differenti: ballad romantiche, sonorità jazz, testi di denuncia cantati con grazia ed ironia. Soprattutto autentico teatro/canzone/performance, sulla scia di Giorgio Gaber e Tom Waits.

Tanti anni di ricerca e sperimentazione musicale: dagli esordi punk al cantautorato, con il disco pubblicato da Interno 4 Records e NdA Press, l’album “Dany Greggio & The Gentlemen”. Come stanno andando le vendite?
Molto bene. Abbiamo distribuito tutto il materiale stampato, ma per avere dati concreti dovremo attendere un po’. Il disco è in vendita nelle librerie: Feltrinelli, Interno 4 e su vari siti on-line. Ispira fiducia e curiosità il packaging prezioso, curato nei minimi particolari.

Il disco si presenta con una copertina ed un libretto d’autore realizzati da Gianluigi Toccafondo. Come è nata la vostra collaborazione?
Per il disco desideravo realizzare un lavoro fotografico con Federica Giorgetti (la sua compagna, ndr.) ma siamo rimasti in dolce attesa e abbiamo dovuto cambiare programma. Forse doveva andare proprio così, ed una notte ho sognato Gianluigi Toccafondo ed ho capito che dovevo chiamarlo.Gianluigi è un caro amico,quindi gli ho telefonato e gli ho detto che stavo facendo un disco, se voleva aiutarmi. Lui aveva appena terminato di fare l’aiuto regista per Gomorra e aveva una gran voglia di disegnare: gli ho mandato del materiale e dopo tre settimane mi ha mostrato le tavole. La sua collaborazione è stata un vero atto d’amore ed ha aggiunto valore all’intero progetto.

Cosa rappresenta questo lavoro per te?
Il disco è lo specchio delle esperienze che ho vissuto sino ad adesso. Forse non è propriamente semplice, denota una complessità intrinseca che è frutto delle esperienze e degli incontri di anni, ma è assolutamente sincero e fuori dalle furberie di mercato. Non mi sembrava il caso di aggiungere un ulteriore disco inutile e cretino al panorama del prodotto musicale italiano.

E come lo valuti in tre aggettivi?
Letterario, visionario, teatrale. Tutte le musiche e i testi sono miei, tranne la Vita agra, che ho tratto dal libro omonimo di Luciano Bianciardi e “Sei arrivata” il cui testo è stato scritto a 4 mani con Cristiano De Andrè. Ai testi tengo particolarmente e voglio che siano comunicativi e non banali, ma c’è anche molta ironia, che ritengo sia fondamentale per comunicare.

Chi sono i “Gentlemen” e da dove è uscito questo nome?
I Gentlemen sono nati tre anni fa, dopo una lunga messa a punto del progetto musicale. Il nome è ironico: pensare ad un gentleman fa venire in mente un signore inglese tutto impettito e ciò contrasta decisamente con il nostro modo di fare musica. D’altro canto, dire “gentle” è come riconoscere uno stile, un’eleganza interiore che ci rappresenta,lo sento più vicino ad “Emo”,come si definiscono alcuni ragazzi di questo tempo. Chiusi rispetto alla bruttura dei modelli e status imperanti, per difendere una gentilezza e purezza di sentimenti che scardina invece i luoghi comuni e le paure del diverso in generale.
I Gentlemen sono, Andrea “Atto” Alessi, al contrabbasso, che con me è la colonna portante del progetto. È grazie a lui che sono stati coinvolti Simone Zanchini, tastiere, e Vincenzo Vasi, theremin e vibrafono. Con loro ho capito che il progetto era a fuoco.

I tuoi concerti sono performance teatrali, reciti monologhi, cambi voce, idioma: quanto della tua esperienza sul palco con i Motus conta in tutto ciò?
Nelle mie performance vocali mi aiuta molto il teatro. Lo studio della voce inizia dal brano e dal personaggio di cui voglio raccontare. I caratteri che interpreto sono presi in parte dalla realtà, altri nascono da improvvisazioni con amici attori. Inoltre, per esprimere in maniera diversa, o dare un’ambientazione particolare, ad una canzone già scritta, ho trovato che calzasse un determinato personaggio piuttosto che un altro. Dai Motus la cosa più importante che ho imparato, e che forse non sempre riesco ad applicare, è che c’è sempre una misura, un punto di equilibrio variabile che mantenga forte ed incisivo un atto performativo, un equilibrio da ricercare continuamente.

Hai detto che tra recitare e cantare ami di più cantare. Per quale ragione?
Non riesco a spiegare a parole ciò che sento. Non è che amo di più cantare, è che cantare e suonare mi coinvolge e mi agita molto di più..sia in positivo che in negativo. È per questo che scrivo canzoni: il linguaggio poetico è più vicino alla mia anima, perché lavora su una sfumatura che ti resta dentro e che puoi raccontare senza dover dare spiegazioni precise. Come accade in una foto. È qualcosa di più immediato. Sai da dove arriva, ma resta aperto a tanto altro.

Hai girato davvero tanta parte del mondo, adesso sei in Romagna. Cosa ne pensi di questa terra?
C’è tanta apertura mentale, almeno formalmente e penso che la Romagna sia un buon punto di osservazione: poi però devi anche partire. Bisogna uscire, confrontarsi con gente che non ti conosce e che non puoi sapere come è disposta nei tuoi confronti.

Ci vuole coraggio a fare il mestiere di artista?
Ci vuole più coraggio ad essere se stessi, forse. Penso che per fare questo mestiere ci voglia soprattutto tanta passione e perseveranza. La passione ti ripaga moralmente e artisticamente. A livello economico il ritorno è difficilissimo, ma poco importa, se ti riconosci in quello che fai. È questa la qualità della vita.

BIOPIC
Dany Greggio nasce a Johannesburg alcuni anni fa. Il lavoro del padre lo porta a girare a lungo per l’Africa: Sudafrica, Libia, Marocco, Egitto. Rientrato in Italia si iscrive ad Architettura a Venezia, città dove studia, lavora e suona. In quegli anni gestisce il Paradiso Perduto, già importante luogo di ritrovo per gli amanti della musica, del vino e del cibo. Scrive diverse canzoni: “Natale a Milano” viene inserita in un album di La Crus mentre “Sei arrivata” viene incisa anche da Cristiano de André. Proprio i La Crus portano in tour Dany Greggio che nel 1998 apre i loro concerti. Il 28 dicembre 1998 l’incontro con i Motus. Il resto è storia.