mercoledì 7 ottobre 2009

Willard Grant Conspiracy

"Quando abbiamo lasciato la California la cenere sollevata dal fuoco e trasportata dal vento ricadeva su Lancaster come pioggia grigia. Il cielo era scuro, la terra rossa di fiamme alte 400 piedi". Succedeva ai primi di settembre 2009, quando Robert Fisher lasciava gli Usa per la tourneè europea dei Willard Grant Conspiracy, il progetto musicale nato nel 1995 dallo stesso Fisher e da Paul Austin che lo scorso 6 ottobre ha portato Fisher (assieme al violinista David Michael Curry e agli scozzesi Doghouse Roses: il chitarrista Paul e la vocalist Iona; e a Cesare Basile) al Centr'arti di Galazzano di San Marino, una data-off dell'official tour che sta toccando l'Italia. Non avevo mai sentito niente dei WGC ma sono andato 'sulla fiducia'', attirato dal nome stesso della band e dalla curiosità di scoprire un nuovo 'pezzettino' d'America.

"Lui è il cantante" - mi hanno detto appena dentro . E mi indicano un uomo enorme ma bello, con il viso pulito, gli occhiali tipo impiegato anni '80 con montatura nera, capelli corti forse chiari, che sta vendendo dei cd ad un banchetto di fortuna. Mi avvicino e glielo dico subito: "I haven't heard anything from you" che nel mio inglese maccheronico vorrebbe significare che non li conosco per niente.

"Grazie per essere venuto allora" mi dice e si presenta "I'm Robert". "I'm R.". "Please to meet you". E fino qui, è l'abc. Poi mi spingo un po' oltre e cerco di sembrare intelligente facendogli qualche domanda. "Mi consigli un album? Qual è il tuo preferito"? "Non ne ho - mi dice - sarebbe come chiedere ad un genitore qual è il suo figlio migliore". E mi spiega che i primi quattro album sono fuori catalogo perchè esauriti e non ristampabili; l'ultimo è "Paper Covers Stone", che eseguiranno durante la serata del Centr'arti. Quello precedente mi attira: è "Pilgrims Road", un bel packaging con scritta vergata con font Vespasianum, a richiamare l'antichità, i viaggi a piedi dei pellegrini che percorrevano le strade - che aprivano strade - attraverso l'Europa.

Gli mostro il biglietto da visita con il nostro pellegrino e sorride quando gli spiego che forse acquisterò "Pilgrim Road": "per un discorso di affinità", soggiunge Robert.
Robert è gentile, ha la pelle chiara; è pieno di efelidi sulle grandi braccia; è un uomo grande e grosso ma con modi e movenze eleganti: sul palco tirerà fuori una voce profonda, vibrante, chiara, che sa di America, di frontiera, di storie che parlano di amore, di morte, di ricerca di senso, di perdono, del desiderio metaforico di 'tornare a casa', di Dio.

Altre domande, altre risposte. "Vengo da Lancaster, in California, appena fuori Los Angeles. Vivo nel deserto. E' un posto solitario. Non ho figli, perchè sono un egoista. Sono stato per venti anni a Boston, in effetti i WGC sono quasi tutti di Boston. Nel comporre musica non mi ispiro alla letteratura. Fra i miei autori preferiti c'è John Fante". Parla un inglese semplice e mi chiedo se lo stia facendo per me. Poi gli dico che sono stato a New York e a Cape Cod, ma che penso di aver visto qualcosa che non ha niente a che fare con l'America - non fosse altro perchè Manhatthan è uno sputo sulla cartina degli Usa. "In effetti hai ragione - mi dice. Però New York è un cuore importante degli Usa - aggiunge. Ma ciò che hai detto è vero".

E come è vivere in California? "Se non la conosci ti potresti annoiare. Io so dove andare, dove succede qualcosa. Ma un turista che arriva a L.A. o a Lancaster non vede niente". Una ragazza gli dice che vorrebbe tanto andare in California ma che non trova nessuno con cui andare. E lui, fra il profetico ed il messianico, icastico dice: "Se sei veramente disponibile a partire, troverai qualcuno che è pronto a partire con te".

Dopo 35 minuti di musica di Cesare Basile, che li sta accompagnando nel tour, ecco i WGC al lavoro: salgono sul palco in quattro (poi si aggiungerà anche Basile con chitarra, mandolino, armonica a bocca). Subito Fisher con un humour più inglese che americano dice: "Iniziamo subito perchè domani dovete alzarvi presto per andare a scuola". E giù con "Drunkard's prayer" che interrompe dopo neanche un minuto, per far notare al fonico il pessimo ritorno audio, o che so io. Riparte e fino a mezzanotte l'America ha trovato una voce con cui esprimere la sua storia, le sue emozioni, le sue contraddizioni. Robert Fisher è un grande performer e i musicisti sono affiatati (WGC è un progetto 'open source' per così dire: sono infatti una ventina gli artisti che si muovono attorno a Robert Fisher, unico membro fisso della band).

Alla fine del concerto - i brani eseguiti sono stati tratti quasi tutti da "Paper Covers Stone" - dopo un piccolo bis e un grande ringraziamento al "lovely" pubblico (centocinquanta) - corro a comperare il cd. Orgoglioso glielo mostro: "Good choice", sorride. Gli stringo la mano, lo ringrazio. "Ti scriverò, magari per un'intervista". "Perchè no", dice mentre ripone la chitarra nel fodero. Poi me ne vado, con il desiderio irrefrenabile di partire per gli Usa, di viaggiare, di conoscere il mondo cantato da Robert, che mi ricorda la ruvidità di Faulkner, la dolcezza di Carver, la ricerca di senso e di un proprio posto nel mondo, cara ai poeti e agli scrittori della Beat Generation.

"Vicino a dove vivo io c'è Santa Barbara - aveva detto - e anche Big Sur, un grande centro di poesia e di letteratura" (e ci ha insegnato anche Allen Ginsberg.) Ma il nome? Da dove viene "Willard Grant Conspiracy"? "Questo è un segreto". Sepolto dentro un uomo che è un gigante, dentro una voce e un sound che sanno d'America.



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